Genialate e idiozie da social network.
Ogni grande rivoluzione tecnologica e sociale è stata
preceduta da una grande rivoluzione di comunicazione. Senza i collegamenti
transatlantici, il telegrafo, il telefono le rivoluzioni industriali, i boom
economici e democratici dell’ultimo secolo e mezzo, perfino le guerre,
sarebbero andate diversamente.
Se non avessimo mai visto le foto dai campi di
concentramento, la seconda guerra mondiale sarebbe andata nello stesso modo? Magari
no, magari vivremmo in un mondo come quello ipotizzato ne “La svastica sul sole” più di 50 anni fa.
Comunicare, condividere non solo è parte del nostro
essere animali e umani, ma è un elemento imprescindibile della nostra società e
della sua evoluzione.
Ma vi confesso che negli ultimi tempi a giudicare dalle
nuove forme di comunicazione mi sto convincendo sempre più che andiamo verso
una rivoluzione di idioti, creduloni e fanfaroni.
Vi descrivo la scena che mi ha fatto precipitare
definitivamente in questa convinzione:
Interno, giorno, La BisbEtica naviga su Facebook cercando
una scusa per non studiare inviando oziosamente inviti ad uno spettacolo di Ascanio
Celestini.
Sulla bacheca appare, ben 2 volte, il post del secolo: foto
di repertorio di bambini, somali credo, che tendono le braccine scheletriche verso
del cibo, con costole a vista e visi disperati, nella cornice nera del post
auto prodotto con la frase: Facebook donerà 1 euro per ogni condivisione per
sfamare questi poveri bambini.
Millemila condivisioni.
Davvero? Il mio amico Emiliano mi perdonerà se uso la sua
parola feticcio ma, davvero?
Davvero ci credete che condividendo una foto, che per
altro è del 1991 (quei bambini se sono stati sfamati adesso sono ultratrentenni
e altrimenti direi che è troppo tardi), questa fantomatica entità sovrumana
chiamata FEISBUC donerà dei soldi a degli imprecisati bambini africani
affamati?
Per carità, in Africa i bambini, e gli adulti, che
muoiono di fame ci sono ancora, davvero: sono gli stessi che annegano sui
barconi che attraversano il Mediterraneo, sono gli stessi che vengono qui a “rubarci
il lavoro”, sono proprio lì, su quelle carrette del mare che la Meloni vuole
bombardare.
Ci sono bambini che muoiono di fame e malnutrizione anche
in Asia, Nel centro e sud America, nell’est Europa, nelle periferie delle
grandi città.
Sono lì, non in quella foto.
Credete davvero che i chirurghi aspettino in sala
operatoria di vedere salire i like sotto la foto di un bambino ritratto in primo piano
con la cannula dell’ossigeno per iniziare a operarlo?
Da questo momento di estrema dimostrazione del fallimento
del darwinismo sono partite alcune elucubrazioni: quand’è che l’utilità di
questo nuovo e fantasmagorico strumento dell’internet si è trasformata in un
megafono per cretini?
C’è qualcosa di molto sbagliato in come si stanno
evolvendo le comunicazioni sui social: migliaia di persone che vomitano la loro
vita privata in bacheca, anoressiche che postano le foto dei loro pranzi da
McDonald’s, Marie Goretti che a mezzanotte letto, coperta, camomilla che hanno
la bacheca intasata di foto di cocktailoni in primo piano, personaggi incapaci
di distinguere la congiunzione disgiuntiva “o” dalla voce del verbo avere “ho”
che pontificano sull’italianità, centinaia di foto identiche di gente che corre
mentre gli spruzzano addosso del colore.
Il problema, vero, è che io di queste cose ne parli e ne
scriva. Che veda più spesso i post che ci mettono in guardia dalle arance
infettate col virus HIV che vengono dalla Libia, le Bufaline, che quelli che
mettono in guardia sul surriscaldamento globale, dicesi signor Reale.
Che abbia la bacheca intasata da re-post di Salvini,
nonostante il mio minuzioso e continuo lavoro di pulizia della friends list,
più che da quelli di Gino Strada.
A dire il vero il dramma è che io, come tutti voi, per
comunicare usi termini come post, re post, like, e friends list.
Mi fa rabbia che il tempo, tantissimo, che passiamo sui
social network, si riempia di bufale colossali pompate da inguaribili
creduloni, su morti di personaggi più o meno famosi, sull’UE che vieta di
coltivare l’orto in casa, sulle scie chimiche, che le notizie non servano per
tenere informata la società ma siano impostate ad arte per scatenare i leoni da
tastiera in centinaia di commenti aggressivi, sgrammaticati, inutili.
Avete la soluzione per tutto? Per l’immigrazione, per la
crisi, per le aggressioni dell’orso, per i matrimoni gay, per curare il cancro
con il bicarbonato?
Datevi da fare, entrate in politica, aprite una clinica di
cure a base di cremine antiage che tolgono 90 anni di rughe in 90 secondi,
polverine per dimagrire, frullati di proteine per scolpire, e mi raccomando,
tutto questo continuando a dire che omeopatia e fitoterapia sono “robe da
coglioni”.
Mentre mi stavo slogando Atlante e Epistrofeo a forza di
scuotere la testa in segno di disgusto però, forse per il movimento della mia
materia grigia in tutto quello spazio vuoto, ho avuto la vera illuminazione.
Non dovrei essere lì, a leggere le bufale, a deprimermi
per il QI medio dei miei connazionali, ad augurare iettature a certi idioti.
Perché questi strumenti, internet, social, e quant’altro,
sono sì i grandi veicoli della rivoluzione del nostro tempo, ma sono pilotati,
male, e con i soliti sistemi, tutt’altro che rivoluzionari.
La “gratuità” delle ricerche su Google, dei nostri diari
su Facebook, delle nostre belle foto su Instagram la paghiamo con le nostre
informazioni, e spesso con la nostra libertà.
Credete davvero che la visibilità di eventi, personaggi,
notizie, dipenda dal loro valore? Col cavolo. Dipende da un misterioso
algoritmo che sostanzialmente funziona in un modo solo: paga, e fa ciò che
vuoi.
Bello questo concerto con 8000 partecipanti: paga e fa
ciò che vuoi.
Interessante questo post con 1500 like: paga e fa ciò che
vuoi.
Che seguito questo personaggio, 30.000 follower: paga, e
fa ciò che vuoi.
E questo meccanismo contagia, giornali, radio,
televisione, siti di informazione.
E allora che ci faccio qui, su un blog a scrivere un post
che finirà poi su un social network?
Perché credo che siano le persone a decidere come usare le
cose, e non il contrario.
Questi strumenti, che sono solo questo, strumenti, come
una forchetta, un’accetta, una pala, possono essere usati nel male, o nel bene.
Sono io che decido se usare la forchetta per papparmi una fiorentina o un’insalata,
non è la forchetta che è vegetariana, sono io che decido se usare l’accetta per
uccidere mia moglie e la pala per far sparire il corpo, o di farne strumenti
per costruire la casetta sull’albero dei miei figli.
Sono io che posso decidere di usare internet, i social
network , questo potentissimo strumento per fare informazione vera invece che
per diffonder bufale, per creare una rete di economia collaborativa invece che
un network marketing, di usare Youtube per condividere conoscenza a livello
globale con i MOOC invece che per guardare i video di Andrea Diprè.
E’ l’era del digito ergo sum, e allora possiamo scegliere
di essere quelli che scommettono sui pro di questo strumento, invece che sulle
sue, innumerevoli, pecche e strumentalizzazioni.
Alcune belle cose che possiamo fare con questi strumenti,
diversamente da dieci anni fa: finanziare, davvero sta volta, progetti ecampagne con il crowdfunding, regalare e ricevere in regalo, condividere,
prestare, vestiti, case, macchine, viaggi, vacanze, cibo nelle piattaforme di
sharing economy e commons collaborativo, informarci, seriamente, su quello che
accade dall’atra parte del mondo come se succedesse nel cortile di casa e
interrogassimo la nostra vicina impicciona. Lanciare e sostenere campagne chespostano opinioni, e a volte salvano vite.
Accendiamo il cervello prima che lo smartphone la
mattina, la coscienza prima dello schermo del computer.
Perché una rivoluzione la fanno le persone che la
vogliono, non gli strumenti che la veicolano.
Ah, e se ve lo state chiedendo, sì, è proprio di voi che
stavo parlando.