“Portatemi le sue ossa, le riconoscerò di sicuro” Hatidža Heren cerca ancora i resti del marito, 20 anni dopo, come centinaia, migliaia di altre mogli, madri, sorelle, figlie rese vedove e orfane da quella mattanza che, vent’anni fa i serbo-bosniaci hanno messo in atto nella cittadina della Bosnia orientale.
Vent’anni, sono passati solo vent’anni da quel massacro,
dagli uomini bendati strappati alle loro famiglie per essere sistematicamente
uccisi, o per scomparire su camion di cui ancora, ad oggi, non si conosce la
destinazione.
8000 volti,
passati in diretta in tv, 8000 volti ignoti, 8000 morti di cui si dimentica il
nome, e un morto in più, illustre, pesante, seppellito insieme a decine di
migliaia di persone nelle fosse comuni delle guerre balcaniche: L’ONU.
Mentre gli autobus pubblici portavano i musulmani
bosniaci nei luoghi di esecuzione, mentre le milizie serbe fucilavano uomini 8
ore al giorno, con pausa pranzo, mentre gli Scorpioni e le Tigri si
riprendevano mentre trucidavano ragazzi poco più che ventenni pensando di
essere i nuovi Lazar l’ONU, la più grande organizzazione internazionale al
mondo, è rimasta a guardare.
L’ONU è morta. Fra le
granate di Sarajevo e sotto i proiettili di Srebrenica.
L’esperienza jugoslava ha messo concretamente in risalto
l’inadeguatezza delle procedure decisionali delle Nazioni Unite e i risultati
fallimentari delle operazioni di polizia internazionale per pacificare un
conflitto, dopo la gestione positiva di alcuni conflitti (Angola, Salvador,
Cambogia Mozambico) e la relativa
aspettativa.
Con le guerre degli anni ’90 aumentarono le guerre
interne agli stati, etniche, religiose, ed emerse la necessità di un ONU fautore
del peace building, promotore delle condizioni che garantiscano la pace
attraverso la stabilizzazione socio economica, oltre che del peace keeping, il
mero mantenimento della pace.
A portare a questa
prematura dipartita una serie di concause: il sacrificio dell’azione
multilaterale a favore di quella nazionale in seguito all’incapacità di
conciliare le posizioni diverse degli stati membri, con la testa chinata
davanti all’intervento esterno USA, la carenza strumenti completi per adempiere
a propri compiti istituzionali, l’incapacità di preservare le “Safe Areas”.
Srebrenica, prima del genocidio, faceva parte di queste
aree sicure, ma quando i soldati di Milosevič sono entrati in città avviando
una delle pulizie etniche peggiori della storia non c’erano abbastanza soldati
per evitarla, visto quanti pochi paesi membri ne avevano inviati. E d’altro
canto, nella divisione forzosa decisa dalla risoluzione ONU Srebrenica faceva
parte dell’area destinata ai Serbi.
Quando nel ’92 si è tentata la riforma di questa
imponente organizzazione per spingere il peace building e ridurre lo strapotere
Nato, gli Usa, ovviamente, misero il veto. Ma la riforma democratica non fu
sostenuta dai governi occidentali in primis. Imbrigliato dalle politiche
nazionali dei singoli paesi l’Onu scrisse il proprio fallimento, che portò ad
un’azione in Jugoslavia vittima di limiti politici, istituzionali e militari.
E questa morte
cerebrale si manifesta ancora oggi, vent’anni dopo: l’8 luglio al Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite la Gran Bretagna ha proposto una risoluzione di
condanna del genocidio di Srebrenica. E’ stata respinta, a causa del veto della
Russia. E credetemi, non v’è dubbio
sul fatto che quello di Srebrenica sia stato un genocidio: se non bastassero
8000 lapidi ci sono anche due condanne, da due diversi tribunali internazionali
per i crimini di guerra. Ancora una volta l’Onu ha fallito, incapace di
superare le divisioni interne e di evolvere rinunciando al diritto di veto nel
caso di dibattiti sui crimini di guerra.
Dalle ceneri dell’Onu,
forse, quello che potrebbe germogliare è un nuovo ruolo dell’UE: spingendo un
avvicinamento dei Balcani all’Unione, sviluppando partnership significative, e
sostenendo la tangibile richiesta di riforma che proviene dalla base. Anche
se il potenziale di aggregazione dei Balcani ha subito una battuta di arresto
dopo la crisi economica, il ruolo della società civile continua ad essere
cruciale in un panorama di integrazione, e le istituzioni europee, pur con i
limiti che ben consociamo, continuano a dimostrarsi più sensibili al passato e
al futuro di queste terre così vicine e pure spesso così lontane.
Mentre la mozione all’ONU
si arenava infatti, il Parlamento Europeo ha adottato una mozione di ferma
condanna per il genocidio, dimostrando un concreto impegno verso la giustizia e
contro il negazionismo.
Portatele in Europa dunque, le ossa dell’Onu, affinché
possiamo riconoscerle, e da quelle far nascere un nuovo assetto della politica
internazionale, in cui la società possa avere successo, laddove le istituzioni
hanno fallito.
Per chi l'avesse dimenticato, alcune immagini per ricordare cos'è successo in Bosnia:
Per chi vuole seguire le evoluzioni del processo balcanico:
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