Quando ho imparato il mio nome, ho
imparato a sperare.
Hadeel, il tubare della colomba, doveva
essere il suono che mia madre sperava di sentire come sottofondo alle
risa nelle giornate della mia infanzia.
Hadeel, più forte del gracchiare dei
cingoli dei carri armati, più squillante dello stridere delle pale
degli elicotteri che volano sopra le nostre teste come rapaci, più
acuto del fischio delle granate che cadono dal cielo.
Il mio nome mi ha insegnato a credere,
che le preghiere avrebbero avuto più forza delle granate, scivolando
attraverso le labbra di mia madre come un miele denso, che non sa di
fiori ma di coraggio e speranza.
Hadeel, perchè una guerra non può
essere eterna, ma molto lunga, come il muro che squarcia il ventre
alla mia terra di sabbia e sterpi.
Palestina, la terra dei Filistei, la
terra degli Ebrei,la terra mia, di mia madre e dei mie fratelli, su
cui ogni giorno poggiamo i piedi scalzi, che percorriamo a grandi
passi col cuore in gola,con la notte in bocca, quando le scie della
pioggia di ferro che inaridisce le nostre anime prendono il posto
delle stelle.
“Hadeel” l'ho sentito volare fuori
dalla bocca di mio fratello questa notte, con lo stesso rimbombo che
tante volte ho sentito nella voce di mia madre quando mi arrampicavo
su un albero troppo alto, camminavo su di un muretto troppo
diroccato, correvo troppo vicina al filo spinato.
“Hadeel” non è così che ho
immaginato il verso di una candida colomba,questo mi ferisce le
orecchie più dei proiettili che colpiscono i calcinacci sopra il mio
letto, rimbalza nello specchio negli occhi gelati di mio fratello che
non si è ancora alzato per correre al riparo.
Vorrei che mi chiamasse ancora, vorrei
che allungasse le braccia verso di me per volare via insieme, ma
resta lì, a fissare la ferita che ha trasformato il muro di casa in
una finestra spettrale da cui vedo i miei vicini correre come
formiche, come topi assordati dalle urla di un falco che sta per
piombare su di loro.
Hadeel. Lo sussurra lo spettro di mia
madre che è comparso del buio del corridoio dove la luce scoppietta
come una scintilla morente, mentre alza dal cuscino la bambola di
pezza che ha preso il posto di mio fratello, il sorriso che si
allarga coma una voragine fino alla tempia, l'aureola rossa sulla
stoffa sgualcita della federa, reliquia della santità di chi muore a
sei anni.
Non sento più niente.
Il freddo del dolore, il buio della
paura, tocco il viso di mia madre per vedere se è vera, mi si
bagnano le dita.
Guardo terrorizzata le mie mani fra i
lampi dei mortai, non è sangue, solo un pezzetto di quella tempesta
di lacrime che sta devastando le pianure tenere del volto di mia
madre.
Non sento più niente.
Mentre corriamo fuori, per la strada,
passo davanti al mio vicino schiacciato a terra del peso della fine
con le gambe all'aria come una donna impudica.
Lo scricchiolare della sabbia battuta
sotto le mie scarpe di pezza, la luce lontana del rifugio che fa da
cornice al ciondolare ritmico della testa di mio fratello ad ogni
passo di mia madre.
Ci rintaniamo, nemmeno topi,
scarafaggi.
La terra trema, trema mia madre fra le
mie braccia, tremo io mentre il fragore di una fine del mondo
costante mi culla nel sonno.
E' una notte qualsiasi in Palestina.
All'alba pezzi di casa, pezzi di vite,
fumano ai bordi delle strade, i cani gridano spaesati, ma mai forte
quanto mogli, sorelle, figlie, madri.
Mia madre, che avvolge un fantoccio in
una stola bianca. Ogni giro una preghiera, ogni nodo un singhiozzo,
ogni sussulto un grido.
Lo sento scoppiare dai polmoni mentre
con le dita mi aggrappo a un brandello di rete metallica, conficcato
nel terreno, un pianto cupo e senza la speranza che ha battezzato me
e tutti i miei fratelli.
Sbatto con le ginocchia sulla terra, la
mia terra, perchè mi costi tutto questo?
Appoggio il viso al chador macchiato di
mia madre e chiudo gli occhi.
E lo sento.
Hadeel. Il verso della colomba. Vola
alto, sopra il fumo, sopra i pianti senza consolazione, più in alto
del profilo del muro grigio schiacciato contro l'azzurro del cielo,
il nostro cielo. Perchè ci costi tutto questo?
Vola verso Israele. Vola via, dal
terrore, da una ferita aperta.
Vola via.
E lo vedo per un istante, mentre le
penne bianche incrociano il sole: mio fratello, che vola via con lei,
finalmente libero, finalmente al sicuro.
E alle mie orecchie arriva per l'ultima
volta
“Hadeel.”