Un po’ per caso e un po’ per via delle recenti vicende di cronaca mi sto trovando spesso a discutere del ruolo di cooperanti, corrispondenti e lavoratori all’estero che nel mondo di oggi sono sempre di più e sempre più a rischio.
Da quando Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono state rapite, e poi liberate, in Siria
mentre svolgevano un progetto di sostegno alle popolazioni nel territorio
dilaniato da quattro anni di guerra, nei salotti televisivi, dalle colonne dei
giornali, nei simposi come nei bar gli esperti di cooperazione hanno iniziato a
spuntare come i funghi dopo un temporale.
Nella stragrande
maggioranza dei casi chi si dedica alle attività umanitarie o di sostegno allo
sviluppo all’estero ispira alla società civile, e di conseguenza alla politica
e alla stampa, toni poco pacati se non aggressivi: da “prima gli italiani”
passando per “dovevate starvene a casa vostra” per arrivare a veri e propri
insulti che mi rifiuto di ripetere.
Eppure è difficile
capire dove stia per i più il confine fra utile e inutile, buono o cattivo,
eroe o sprovveduto.
Nella terra delle “oRgettine” e di Famiglia Cristiana, della
famiglia stile Mulino Bianco e dei femminicidi quotidiani, i Marò vanno
tutelati e protetti, mentre Greta e Vanessa andavano lasciate in mano ai
rapitori dell’ Isis. Quattrocchi è stato un eroe, Vittorio Arrigoni un
comunista antisemita. Oriana Fallaci è vicina alla canonizzazione
nazionalpopolare me delle difficoltà dei corrispondenti esteri, ad esempio, inCina, importa poco o nulla alla maggior parte del pubblico.
L'immagine della campagna #freemiao |
Senza raccontare di nuovo le storie (le trovate nei link
delle righe precedenti) di questi personaggi, ho deciso di chiedere un parere a
qualcuno che della vita e del lavoro fuori dai confini dell’Italia sa qualcosa
di più di noi professori da social network laureati su Slytg24.
Da quattro interviste,
che pubblicherò nel corso del prossimo mese, spero possano nascere spunti e
punti di vista nuovi per discutere con un po’ più di competenza di
corrispondenti e volontari, e soprattutto di quella cooperazione internazionale
che spesso si sente nominare ma che fatichiamo a riconoscere.
Prima di iniziare, due piccole definizioni: La politica di cooperazione allo sviluppo è l’insieme di
politiche attuate da un governo, o da un’istituzione multilaterale, che mirano
a creare le condizioni necessarie per lo
sviluppo economico e sociale duraturo e sostenibile in un altro paese. L’attuazione
di tali politiche può essere realizzata da organizzazioni governative,
nazionali o internazionali, o da organizzazioni non governative (ONG), indipendenti.
I dipendenti di
queste organizzazioni sono i famosi cooperanti che “se la vanno a cercare”.
Col recente affermarsi di nuovi attori politici ed economici
che spingono verso strategie diversificate di sviluppo (crescita sostenibile,
consumo “etico”, tutela dell'ambiente come parte dell’impegno contro la povertà
e la fame) la Cooperazione allo sviluppo è sempre meno una questione di aiuti
da governo a governo e sempre più un fenomeno complesso di cooperazione decentrata.
La prospettiva della cooperazione decentrata necessita di un
maggior coinvolgimento dell’intera cittadinanza, e non più solo delle nicchie attive
di popolazione sensibile: informarsi e farsi un’opinione al riguardo sta
diventando un dovere, anche perché quello degli aiuto allo sviluppo e delle ONG
è un business da miliardi di dollari, sul quale l’opinione pubblica dovrebbe
vigilare.
L’intervista ad Ugo Tramballi, corrispondente del Sole 24
ore, già giornalista del Giornale di Montanelli, inviato in Medioriente, Oriente,
Russia per citare alcune esperienze, sarà online sulla BisbEtika a breve.
Offrirà qualche buono spunto? Stay Tuned!
E facciamocela un’opinione,
non costa niente e sia mai che ci serva!
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