Una conversazione con il giornalista del Sole 24 Ore , su informazione, cooperazione e società.
Spunti interessanti,e magari inaspettati, da questo giornalista con la G maiuscola.
Ugo Tramballi "Ha iniziato la carriera di giornalista nel 1976 al Giornale di Montanelli; dal 1983 è stato inviato speciale in Medio Oriente, India e Africa e corrispondente di guerra in Libano, Iran, Iraq, Afghanistan e Angola. Tra il 1987 e il 1991 è stato corrispondente da Mosca. Dal 1991 è inviato ed editorialista di affari internazionali al Sole 24 Ore.È membro dell’Istituto affari internazionali di Roma, del Centro italiano per la pace in Medio Oriente di Milano, Media Leader del World Economic Forum." (da "Ilsole24ore.com) in diretta da Gerusalemme, la sua chiacchierata con La BisbEtika:
Qual è secondo lei il
ruolo della stampa e dei mezzi di informazione nel riportare ciò che succede
oltre i confini statali? Il rischio strumentalizzazione è dietro l’angolo, i
titoloni spaventano il pubblico o danno semplicemente ai lettori quello che vogliono?
Il ruolo della stampa dovrebbe essere informare nel migliore
dei modi possibile, ma non sempre è così: sia dentro che fuori i nostri
confini. Ma in Italia, riguardo agli esteri, non penso tanto a una volontà di
strumentalizzazione da parte di qualche centro di potere – a volte tuttavia
accade - quanto a una via di mezzo fra il sensazionalismo e un modo di
accontentare i lettori che, in generale, di esteri ne sanno ancora meno dei
giornalisti. Scrivere per esempio la sciocchezza che l’Isis sta per arrivare a
Roma, ha più effetto che tentare di spiegare quanto effettivamente il califfato
sia una minaccia.
Spesso valutando gli
avvenimenti sarebbe buona regola chiederci chi ci guadagna, quindi chi guadagna
secondo lei da un’informazione a volte univoca?
Credo poco alle teorie della cospirazione o all’esistenza di
un Grande Fratello: a volte è solo ignoranza o mediocrità di giornalisti ai
quali piace sposare cause piuttosto che tentare di capire le ragioni degli uni
e quelle degli altri in un conflitto.
L’ inviato di guerra,
il corrispondente dall’estero: sono ancora ruoli necessari per un’informazione
che al giorno d’oggi passa per la rete e la sua capillarità a portata di click?
L’inviato – che sia di guerra, di avvenimenti interni, di
esteri o di mafia da Palermo – è una delle prime vittime del web. Chiunque può
scrivere ciò che vuole da dove vuole; l’immediatezza della notizia trionfa
sulla “slow news”, cioè sul tentativo di approfondire e ragionale. Il web ha
molti pregi ma alcuni gravi difetti: uno di questi è la scomparsa della sana
abitudine di verificare le fonti. Dare in fretta la notizia è ormai più
importante che verificarne la veridicità.
Un’esperienza
decennale nel raccontare il Mondo, anche in situazioni critiche, si è mai
sentito davvero in pericolo?
Non mi piace rispondere a questa domanda che, stranamente,
molti giovani mi fanno. Che mi trovi in pericolo o meno mentre seguo un
avvenimento, è irrilevante. Non sono io
la notizia: io seguo e racconto la notizia. Ma capisco che molti giornalisti,
soprattutto i televisivi in zone di guerra, facciano più spettacolo che
informazione, dando del nostro mestiere una falsa aurea di protagonismo. La
cosa peggiore del nostro mestiere è quando un giornalista crede che la notizia
sia lui che segue una notizia.
In tanti anni come corrispondente
dall’estero, ha notato un cambiamento nelle tutele garantite dallo Stato a chi
lavora in zone di rischio?
Non credo che lo Stato debba garantirmi delle tutele di
qualsiasi genere. Se vado in una zona pericolosa, lo faccio per mia volontà,
d’accordo con il mio giornale. Non ho diritto ad alcuna tutela pubblica, non
sono un mutuato Inps.
Cooperanti,
corrispondenti, dipendenti di aziende dislocate: si moltiplicano gli episodi
che mettono a rischio la loro incolumità: dai rapimenti in Medioriente alle
pressioni del Governo sui giornalisti in Cina: cosa rappresenta il rischio
maggiore dal suo punto di vista?
Il rischio maggiore per un giornalista non è quando rischia
la vita, per esempio in una zona di guerra: come ho detto prima è una sua
scelta e non può pretendere che i combattenti tengano conto del suo “diritto”
d’informare. Per i cooperanti e i dipendenti di aziende è un po’ diverso ma
anche loro in genere sanno sin dall’inizio di andare a operare in zone
rischiose. Il pericolo maggiore per un
giornalista è quando governi e regimi tentano senza sparare di limitare il suo
lavoro.
Dalla società civile
e dalla politica queste figure professionali ricevono più spesso critiche e
atteggiamenti astiosi, se non addirittura aggressivi, più che solidarietà e
interesse: perchè? Dove sta la differenza fra i Marò e Greta e Vanessa?
Se posso dirlo, i due marò
sono più vittime di quanto lo siano Greta e Vanessa. Latorre e Girone erano al
lavoro, mandati in missione dal loro governo che doveva garantire un quadro
legale internazionale al loro operato. Le due ragazze, con tutta la stima per i
loro ideali, sono andate allo sbaraglio volontariamente e con molta ingenuità. Ci
sono donne e uomini dello Stato che hanno rischiato la vita per tirarle fuori
dalla Siria, della quale hanno dimostrato di non capire la profondità della
tragedia.
Perché milioni di
persone sono scese in piazza per la libertà di stampa di Charlie Hebdo mentre
vengono accettate, anche dai governi legati da rapporti economici al gigante
asiatico, le pressioni e i vincoli imposti ai giornalisti e ai loro
collaboratori in Cina?
Se tu mia avessi chiesto cosa pensavo di Charlie Hebdo prima
della tragedia di Parigi, ti avrei detto che quel giornale era mediocre e
arrogante nella sua presunzione intellettuale di criticare e insultare
chiunque. Ma a Parigi è avvenuta un’esecuzione, per questo ogni critica
scompare di fronte alla tragedia e alla gravità dell’aggressione al diritto di
opinione. Non è paragonabile con le
pressioni che un giornalista può subire da un regime, per quanto repressivo. Il
mondo è pieno di questi regimi e spesso i giornalisti subiscono pressioni anche
nel mondo democratico.
Qual è il ruolo
dell’informazione in questo schema? Portare verso il pubblico l’indifferenza
della classe politica o viceversa? I media sono solo testimoni di queste
dinamiche o anche fomentatori?
I titoli eccessivi di Libero, quelli per tutte le stagioni
del Corriere della Sera, quelli marxisti del Manifesto o i titoli
confindustriali del Sole 24 Ore, cercano tutti d'intercettare il loro lettore
tipo. In qualche modo la libertà di
stampa italiana consiste nell'avere tanti giornali di parte diversa. E'
difficile trovare esempi di giornalismo anglosassone. Il quale non è
assenza di opinioni ma, al contrario, la libertà di cambiare opinione a seconda
della situazione e non mantenerla a seconda degli interessi dell'editore.
Ovunque nel mondo democratico, la linea editoriale di un giornale tiene conto
degli interessi del suo editore: succede anche al Financial Times piuttosto che
al New York Times. Da noi un po' di più, al punto da essere percepiti più come
strumento degli interessi degli editori che come strumento d'informazione. E'
una delle ragioni delle scarse percentuali di diffusione dei giornali in
Italia, da sempre. Ciononostante, anche
da noi i giornali contribuiscono a formare l'opinione pubblica e l'interesse
generale. Forse più di qualsiasi altro strumento.
In diretta da Trento, poco da aggiungere, se non un "chapeau" per una professionalità che abbiamo imparato a non aspettarci più.
Appuntamento alla prossima intervista della BisbEtika, questa volta con un accademico, speciale... a presto!
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