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mercoledì 21 agosto 2013

Una società che è la fine del mondo.


Altro che fine del calendario maya, ecco come la razza umana si estinguerà.

Che l’armageddon sia uno dei temi preferiti all’interno nella nostra cultura non si piò negare. Abbiamo sentito innumerevoli, profezie, pronostici e dibattiti. Visto migliaia di film, decine di documentari immaginato centinaia di mondi apocalittici e post apocalittici. Ma a spazzare via il genere umano dal globo molto probabilmente non sarà né un virus letale, né il riposizionamento dei poli magnetici, né un asteroide, né un attacco di cavallette intergalattiche né un’apocalisse di zombie (peccato, a quella ero già pronta).

In una realtà tristemente molto più semplice  la fossa ce la stiamo scavando da soli. Il 20 agosto è stato        l’ ”Earth overshoot day”  del 2013, che non è il nome di una festa trasgressiva in un locale di Amsterdam, ma il giorno in cui secondo il GlobalFootprint Network abbiamo iniziato a consumare più risorse di quante ne disponga il pianeta terra.

Questa data si ottiene confrontando le risorse terrestri con il consumo che ne viene fatto all’interno di un’equazione: capacità biologica mondiale/consumo ecologico mondiale moltiplicato per 365. La data che si ricava è approssimativa, ma in situazione di parità dovrebbe risultare un rapporto 1:1, che significherebbe che consumiamo il 100%di ciò che la Terra mette a disposizione senza andare in debito.

Quest’anno però il rapporto si è spostato verso l’ 1:1,5, fissando l’Overshoot Day ad agosto, il che significa che stiamo consumando un pianeta  e mezzo di risorse all’anno. Di questo passo, nel 2050 avremo bisogno di due Terra per offrire abbastanza acqua, aria e cibo all’intera popolazione mondiale.

Lo scenario, è degno dei più catastrofici kolossal hollywoodiani: i cambiamenti climatici già percepibili aumenteranno esponenzialmente con conseguente desertificazione di aree sempre più vaste, la stragrande maggioranza delle specie animali si estinguerà, le verdi foreste pluviali saranno un lontano ricordo, così come la società che conosciamo. L’impoverimento del pianeta farà schizzare alle stelle i prezzi delle materie di prima necessità, si finirà con l’uccidersi a vicenda per acqua, cibo ed aria. Le conseguenze, guerra, fame, malattia e morte, galoppano verso di noi più velocemente del previsto.

I mercati emergenti, Cina in testa, sono i responsabili principali del saldo in negativo del conto con la Terra, ma a guardare bene l’intero pianeta è corresponsabile: la Tigre Asiatica produrrà pure il 75% dell’anidride carbonica totale, ma il 30% di questa è causata dalla produzione di prodotti per l’esportazione. Complessivamente, l’80% della popolazione mondiale vive in stati che consumano più di quanto il loro territorio sia in grado di produrre.

Questo è il prezzo del benessere: meglio stanziare, come ha fatto un potente industriale sudafricano, centinaia di milioni di dollari per la colonizzazione di Marte continuando a spremere a morte il nostro pianeta, piuttosto che rinunciare alla seconda macchina per famiglia, alla bistecca tutti i giorni, ai viaggi low-cost.

E’ davvero questo quello che la nostra grande razza umana, con la sua tecnologia, il suo intelletto, la sua cultura, è in grado di fare? Spostarci di zona fertile in zona fertile prosciugandola fino a quando nulla resterà? Parafrasando un grande film sulla fine del mondo “c’è solo una forma di vita che si comporta così, una sola. I batteri.”

Forse, a salvare la Terra sarà la Terra stessa, comportandosi come un organismo con un’infezione estesa e trovando una via per sopprimere la “piaga umanità”. Forse ci consumeremo lentamente, mentre i più ricchi migrano verso mondi lontani guardando i nostri figli morire di fame, di sete, o senza aria.

Una cosa è certa, non sarà rapido come un’esplosione atomica, come l’impatto con un meteorite, e non sarà indolore. Non basterà barricarsi in un centro  commerciale armati fino ai denti, nascondersi in cantina con le provviste, aspettare che l’eroe di turno trovi una cura per il virus letale.

Qui, l’unico eroe che può fare la differenza è ognuno di noi, imparando a consumare ciò che ci è concesso, non ciò che ci spetta perché siamo anti in questo emisfero. Imparando che l’equità e l’uguaglianza sono due cose diverse, che “decrescita” è una parola facile da dire quanto “crescita”.
Per il resto, siamo solo un puntino nell’universo, e nessun angelo dalla spada guizzante verrà a salvarci dal destino che ci siamo meritati, giorno  dopo giorno.