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mercoledì 13 maggio 2015

Che succede in Mecedonia?

O meglio, sapete che sta succedendo qualcosa di molto preoccupante ai confini dell’Europa?

La notizia è passata in sordina nei giorni scorsi, e quando è arrivata è stata condita con un’accozzaglia di luoghi comuni e manifestazioni di cattivo giornalismo all’italiana. 
Forse, se vi siete proprio proprio voluti informare avrete letto qualcosa del genere: “Macedonia, scontri con gruppi armati al confine con il Kosovo: almeno 5 morti. Forze speciali macedoni assediano un quartiere musulmano di Kumanovo, al Nord del Paese. Le autorità: conflitto con "un gruppo armato arrivato da un paese vicino, ci sono 5 poliziotti morti e 30 feriti. Possibili vittime anche nei commando".

Probabilmente la notizia sarà finita nel dimenticatoio del nostro cervello dove accatastiamo tutti gli attentati, le stragi, i drammi legati al terrorismo fuori dai confini occidentali.  Ma la storia in Macedonia, non è del tutto chiara.
Innanzitutto due delucidazioni sul Paese dell’Est Europa: è uno stato della penisola balcanica incastrato fra Albania, Grecia, Kosovo, Serbia e Bulgaria. Non è riconosciuta formalmente come Repubblica di Macedonia ma solo come Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia a causa della disputa sul nome avviata dai vicini Greci, che temono che lo Stato confinante avanzi pretese tese a ristabilire i confini della Macedonia Storica, che comprende anche una regione nel nord della Grecia.
Oltre alla disputa con la Grecia, la situazione in Macedonia è delicata per la presenza di oltre un 20% di cittadini di etnia albanese, con la lingua albanese riconosciuta come ufficiale dove quest’etnia rappresenti più del 20% della popolazione.
Circa il 64% dei macedoni sono ortodossi, albanesi, turchi e rom sono per lo più musulmani.

Questi tre elementi sono sa tenere presenti perché al contrario di come se ne è parlato, e come temo se ne tornerà a parlare, quello che sta succedendo in Macedonia non è una crisi di origine etnica, tantomeno religiosa.

Negli ultimi mesi migliaia di sostenitori dell’opposizione socialdemocratica hanno iniziato a contestare aspramente il governo. L’esecutivo del premier Nikola Gruevski è accusato di aver insabbiato l’omicidio di un ragazzo, Martin Neskovski, ucciso da un poliziotto nel 2011. Inoltre, secondo l’opposizione, Gruevski  avrebbe messo in piedi un sistema di intercettazioni illegali nei confronti di politici, leader dell’opposizione, giornalisti, imprenditori, leader religiosi e magistrati. Quasi 20.000 persone.
Sabato 9 maggio i militari governativi Macedoni sono entrati a Kumanovo, una città al confine con Serbia e Kosovo, con mezzi blindati e artiglieria, per catturare, ufficialmente, un gruppo di “ribelli” che avrebbe attaccato un posto di polizia. Negli scontri sono morte 25 persone, far cui 6 poliziotti. L’esecutivo ha calcato la mano sulla forte componente etnica in questo scontro, i “ribelli” erano albanesi. Agitare lo spettro della guerra civile è un tentativo disperato di spaccare il fronte della protesta, ma nei fatti le manifestazioni in corso a Skopje, nella capitale, vedono unite le due comunità, la maggioranza slavo-macedone la popolazione di etnia albanese. 

Un tentativo di Divide ed impera? Un piano di strumentalizzazione di un atto violento non nuovo nella sfera balcanica? Mentre opposizione e maggioranza si rimpallano le responsabilità, sotto la superficie potrebbe nascondersi un’eventualità ancora più preoccupante…
Nel territorio macedone sta per partire la costruzione di un nuovo gasdotto, una continuazione del condotto “South Stream” che dalla Russia porterebbe gas naturale a prezzo più basso in Grecia, e quindi in Europa. E qui, non solo tabloid e complottisti ma anche alcuni fra i più autorevoli quotidiani dell’Est Europa, ravvisano uno di quei tentativi di alzare un polverone da gettare negli occhi del pubblico tanto caro a una certo Stato del mondo. A un certo Stato che in tante crisi ha messo uno zampino che si chiama Cia.
Potrebbero essere solo supposizioni, ma un po’ di puzza di bruciato, anzi, di metano, si sente eccome.
Nel frattempo due dei ministri del governo Guevski si sono dimessi, assieme al capo dei servizi segreti, Miajalkov, accusato di avere rapporti con la banda criminale albanese al centro del disastroso intervento a Kumanovo, ma il rimpasto sa di lavoro di facciata, una mano di fondotinta su un volto in putrefazione.
Il banco di prova della società civile del #protestiram sarà il prossimo 17 maggio, con la manifestazione antigovernativa prevista nella capitale, e con i suoi esiti.

Spero di sbagliarmi, ma credo che ci sarà qualcosa di cui parlare. Spero di sbagliarmi, ma credo che comunque difficilmente se ne parlerà.
#EyesOnMacedonia: restiamo a concentrati, o potremmo trovarci a restare a guardare, ancora una volta, lo scoppio di una crisi nei Balcani.

Per seguire gli sviluppi: La BisbEtika, e  East Journal.