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domenica 22 febbraio 2015

Belle idee e begli ideali

Dal sapere al saper fare

Belle idee, la transizione, la decrescita, l’autoproduzione, gli orti urbani e le permaculture. Bellissime idee. Mi entusiasmano. Sono probabilmente i pilastri della nuova (e verosimilmente unica possibile) rivoluzione culturale ed economica attraverso la quale si possa arrivare ad un futuro più equo, sostenibile, basato sulla tutela dei diritti di ogni cittadino del pianeta e sulla tutela dell’ambiente.  In proposito si sono scritti libri, girati film e documentari, per portare avanti questa “rEvoluzione” sono nati movimenti, associazioni, riviste. Fin dagli anni ’70. Entusiasmante no? L’idea di un mondo in cui la produzione di beni e alimenti avviene riducendo al minimo inquinamento, scarti, esuberi, in cui il cibo c’è, per tutti, in cui non dovremmo preoccuparci di andare in guerra per l’acqua, della desertificazione, del buco nell’ozono. Fantastico.  Dopo aver letto libri di economisti e sociologi, dopo aver seguito conferenze, guardato documentari, aver preparato il fagotto per l’imminente partenza per la Transition Town più vicina,a mi sono accorta di una fatale falla nel mio piano: non so piantare una carota. Non so coltivare delle patate. Non so mietere il grano. Non so issare i tralicci delle viti. Non so mungere una mucca, tantomeno una capra. Non ho idea di come salvare una pianta di pomodoro dai parassiti. Non so attaccare un bottone, figuriamoci cucirmi i vestiti. Non sono in grado di costruire un muretto, scavare un pozzo, manco una casetta sull’albero.  A raccogliere le uova delle mie galline me la cavo abbastanza bene, ma in quel caso, siamo sinceri, il lavoro lo fanno tutto loro.
Un forest garden in permacultura
So un sacco di cose, la differenza fra equità ed uguaglianza, cosa siano i commons collaborativi, chi sono i prosumers. Potrei citare quasi a memoria le battute dei film di Al Gore e delle conferenze di Rifkin. Ma non so fare praticamente nulla. Panico. Quale potrebbe essere la mia utilità in una città, in una comunità, basata sull’autoproduzione, sull’agricoltura sostenibile, su un modello produttivo di altri tempi? Fossi che so, un medico, un dentista, un’ingegnera.  Invece sono solo una (quasi) sociologa e mi sento sempre più in piedi sul traballante sgabello di chi predica bene ma razzola male.
Dopo qualche ricerca la risposta al mio senso di inadeguatezza sembra essere arrivata dal Movimento Per laDecrescita Felice, e dallo straordinario esperimento dell' Università del SaperFare. I corsi di questa particolare facoltà che si svolgono nelle varie sedi del Movimento in tutta Italia, si basano sul recupero di capacità pratiche andate perdute negli ultimi decenni, dalla gestione di colture, alla calzoleria, passando per la produzione di cosmetici naturali e detersivi vegetali. “Il Saper Fare è una sorta di rivoluzione culturale- spiegano sul sito del movimento- che presenta una quantità incalcolabile di vantaggi: permette di recuperare capacità e utilità perdute, di accedere a beni primari limitando acquisti e spostamenti, di inquinare meno e risparmiare molto, e di sperimentare una nuova dimensione entro la quale rivalutare il tempo e la soddisfazione del lavoro ben fatto, da condividere in modo solidale. Zero imballaggi, meno trasporti, niente emissioni. Se migliaia, milioni di singoli adotteranno le pratiche del Saper Fare, inaugurando nuovi stili di vita basati sul recupero della capacità di auto-produzione di beni e quindi riducendo la produzione di emissioni e rifiuti, l’impatto di questa pratica diverrà in breve tempo molto significativo anche su scala globale.” Sul sito del Movimento per la Decrescita Felice si trovano, oltre al calendario dei corsi pratici in giro per l’Italia, decine di link utili per iniziare l’avvicinamento al knitting, all’autoproduzione di cosmetici, alla preparazione del pane, agli orti e alle fattorie urbane, alla produzione di formaggi e yogurt e molto altro. Le applicazioni delle tecniche sono infinite e ognuno può contribuire realizzando nuovi corsi, purchè questi siano in linea con il manifesto dell’associazione.
Oggi, in un momento in qui la disoccupazione è dilagante e il sistema industriale è vicino alla saturazione,affinare alcune abilità pratiche, spesso considerate “di bassa leva” o poco interessanti, potrebbe rivelarsi un ottimo escamotage lavorativo, oltre che etico, per trovare il proprio posto in un’economia nuova in cui i capisaldi del capitalismo occidentale iniziano a vacillare.
Mentre affilavo i ferri da calza e rispolveravo la zangola dalla cantina però ,fortunatamente mi sono balzate agli occhi altre due considerazioni. La prima: per uscire dall’attuale crisi occorre un radicale cambio di paradigma culturale: non possiamo pensare di risolvere i problemi originati  dal vecchio paradigma senza adottare nuovi strumenti mentali oltre che pratici e nuove categorie di pensiero, oltre che di azione. La necessità di occupazione in attività oggettivamente utili (nel settore dell’agricoltura biologica, del risparmio energetico, del recupero di materiali, della produzione di energia da fonti rinnovabili) che  producono beni, e non merci,che soddisfano bisogni primari ed essenziali, che riducono il consumo di risorse non può essere soddisfatta senza nuove politiche economiche industriali, e non può esserci una nuova politica senza una nuova società. Allora, è necessario che al fianco delle abilità manuali sviluppiamo anche le nostre abilità intellettive ed interiori: la nostra conoscenza, la nostra empatia, la nostra percezione di noi stessi come parte di un sistema dal quale dipendiamo e che dipende da noi. Allora non è inutile leggere,scrivere, documentarsi, conoscere persone, seguire conferenze , partecipare a movimenti, non è inutile prendersi del tempo per pensare oltre che per agire, per far crescere gli ideali assieme alle idee. La seconda parte del mio infallibile piano è passata da una consapevolezza ancora più semplice: serve davvero che guardi un video su Youtube per capire come piantare della lattuga? Molti di noi hanno la fortuna di avere genitori e nonni, zii e conoscenti che hanno ancora ben presenti i tempi in cui il saper fare era la norma. Così, prima di partire per Lucca per imparare a piantare un oliveto ho deciso di chiedere a mio padre di insegnarmi a zappare l’orto, a piantare i pomodori, a potare le viti, e a mia madre di insegnarmi a rammendare un calzino e a cucinare alla vecchia maniera.
Probabilmente a fine giornata avrò qualche dolorino alla schiena e un  paio di punture di spillo sulle dita ma mi sentirò più vicina in maniera coerente alla mia idea di rivoluzione.
E ora scusatemi, vi saluto perché ho il pane in forno,devo dare l’acqua ai pomodori,  le galline sono da governare, devo scaricare l’ultima conferenza di Rob Hopkins e il libro sull’autoconsapevolezza che ho iniziato mi aspetta sul bracciolo della poltrona!