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giovedì 27 giugno 2013

Fiaba triste di una notte in Palestina

Quando ho imparato il mio nome, ho imparato a sperare.
Hadeel, il tubare della colomba, doveva essere il suono che mia madre sperava di sentire come sottofondo alle risa nelle giornate della mia infanzia.
Hadeel, più forte del gracchiare dei cingoli dei carri armati, più squillante dello stridere delle pale degli elicotteri che volano sopra le nostre teste come rapaci, più acuto del fischio delle granate che cadono dal cielo.
Il mio nome mi ha insegnato a credere, che le preghiere avrebbero avuto più forza delle granate, scivolando attraverso le labbra di mia madre come un miele denso, che non sa di fiori ma di coraggio e speranza.
Hadeel, perchè una guerra non può essere eterna, ma molto lunga, come il muro che squarcia il ventre alla mia terra di sabbia e sterpi.
Palestina, la terra dei Filistei, la terra degli Ebrei,la terra mia, di mia madre e dei mie fratelli, su cui ogni giorno poggiamo i piedi scalzi, che percorriamo a grandi passi col cuore in gola,con la notte in bocca, quando le scie della pioggia di ferro che inaridisce le nostre anime prendono il posto delle stelle.
“Hadeel” l'ho sentito volare fuori dalla bocca di mio fratello questa notte, con lo stesso rimbombo che tante volte ho sentito nella voce di mia madre quando mi arrampicavo su un albero troppo alto, camminavo su di un muretto troppo diroccato, correvo troppo vicina al filo spinato.
“Hadeel” non è così che ho immaginato il verso di una candida colomba,questo mi ferisce le orecchie più dei proiettili che colpiscono i calcinacci sopra il mio letto, rimbalza nello specchio negli occhi gelati di mio fratello che non si è ancora alzato per correre al riparo.
Vorrei che mi chiamasse ancora, vorrei che allungasse le braccia verso di me per volare via insieme, ma resta lì, a fissare la ferita che ha trasformato il muro di casa in una finestra spettrale da cui vedo i miei vicini correre come formiche, come topi assordati dalle urla di un falco che sta per piombare su di loro.
Hadeel. Lo sussurra lo spettro di mia madre che è comparso del buio del corridoio dove la luce scoppietta come una scintilla morente, mentre alza dal cuscino la bambola di pezza che ha preso il posto di mio fratello, il sorriso che si allarga coma una voragine fino alla tempia, l'aureola rossa sulla stoffa sgualcita della federa, reliquia della santità di chi muore a sei anni.
Non sento più niente.
Il freddo del dolore, il buio della paura, tocco il viso di mia madre per vedere se è vera, mi si bagnano le dita.
Guardo terrorizzata le mie mani fra i lampi dei mortai, non è sangue, solo un pezzetto di quella tempesta di lacrime che sta devastando le pianure tenere del volto di mia madre.
Non sento più niente.
Mentre corriamo fuori, per la strada, passo davanti al mio vicino schiacciato a terra del peso della fine con le gambe all'aria come una donna impudica.
Lo scricchiolare della sabbia battuta sotto le mie scarpe di pezza, la luce lontana del rifugio che fa da cornice al ciondolare ritmico della testa di mio fratello ad ogni passo di mia madre.
Ci rintaniamo, nemmeno topi, scarafaggi.
La terra trema, trema mia madre fra le mie braccia, tremo io mentre il fragore di una fine del mondo costante mi culla nel sonno.
E' una notte qualsiasi in Palestina.
All'alba pezzi di casa, pezzi di vite, fumano ai bordi delle strade, i cani gridano spaesati, ma mai forte quanto mogli, sorelle, figlie, madri.
Mia madre, che avvolge un fantoccio in una stola bianca. Ogni giro una preghiera, ogni nodo un singhiozzo, ogni sussulto un grido.
Lo sento scoppiare dai polmoni mentre con le dita mi aggrappo a un brandello di rete metallica, conficcato nel terreno, un pianto cupo e senza la speranza che ha battezzato me e tutti i miei fratelli.
Sbatto con le ginocchia sulla terra, la mia terra, perchè mi costi tutto questo?
Appoggio il viso al chador macchiato di mia madre e chiudo gli occhi.
E lo sento.

Hadeel. Il verso della colomba. Vola alto, sopra il fumo, sopra i pianti senza consolazione, più in alto del profilo del muro grigio schiacciato contro l'azzurro del cielo, il nostro cielo. Perchè ci costi tutto questo?
Vola verso Israele. Vola via, dal terrore, da una ferita aperta.
Vola via.
E lo vedo per un istante, mentre le penne bianche incrociano il sole: mio fratello, che vola via con lei, finalmente libero, finalmente al sicuro.
E alle mie orecchie arriva per l'ultima volta

“Hadeel.”

mercoledì 19 giugno 2013

Per chi di abbandono muore.


Una grossa macchina blu.
Un'altra.
Una, ancora, sparisce all'orizzonte prima ancora che il rumore del motore abbia smesso di far vibrare le mie orecchie.
E' incredibile quante macchine come la tua ci siano in giro, a casa non l'avevo mai notato.
Ogni volta che ne vedo una avvicinarsi,velocissima sull'asfalto rovente di questa strada,il mio cuore salta un paio di battiti, trattengo il fiato in attesa,per qualche lunghissimo secondo.
La tua mancanza mi lacera il cuore,ma nessuna macchina è mai la tua,nessuna rallenta per aprire lo sportello e farmi salire.
Le ore sembrano giorni, o forse lo sono,mentre attendo.
La luna è alta quando lo stomaco inizia a farmi male per la fame, mi alzo,le ossa mi fanno male dopo tanto tempo nella stessa posizione,ad aspettare.
Mi avvio camminando lungo il ciglio, la direzione mi sembra quella di casa, ma sono confusa,disorientata,non capisco.
Non capisco perchè mi hai lasciata
Non capisco dove ho sbagliato.
Non capisco che cosa sia successo di così terribile, per convincerti a separarmi da te.
Non può essere stata una scelta tua, continuo a ripetermi mentre la linea bianca sull'asfalto è la mia unica guida nella notte. Non puoi aver voluto davvero separare le nostre vite, tu, che mi hai coccolata e desiderata, tu che mi chiamavi amore,tesoro, cucciola.
Eppure tu, che sei il mi mondo mi hai lasciata lì, sotto il sole e non ti sei voltato indietro.
Quando penso alla tua macchina che sparisce nell'afa mi si rizza il pelo sulla schiena, e ho paura. Paura che non tornerai, paura che resterò sola e che nessuno mi riporterà a casa perchè l'ultima volta che mi hai fatto il bagno non hai più voluto rimettermi la medaglietta.
Non conosco queste strade, gli odori che si posano nelle mie narici sono nuovi e sconosciuti, i miei occhi gialli non sanno dove posarsi ed ora, se potessero stillerebbero lacrime di dolore.
Non capisco.
Non capisco.
Quando ti ho visto caricare la macchina con tutte quelle borse e quelli attrezzi eravate tutti felici.
La mia famiglia era felice ed io con voi! Che nuova avventura mi aspettava?
Sono salita in macchina con la fiducia incondizionata che ti ho sempre offerto, padrone.
Ed ora sono qui, poco lontano da dove mi hai scaricata. Sola. Non mi sono mai sentita così Sola.
Cammino da ore ormai,ho tanta tanta sete. Sento lo scrosciare dell'acqua al di là della corsia buia e decido di raggiungerla.
Una luce brillante mi investe.
Poi un dolore e la terra che mi sfugge da sotto le zampe.
Rumore.
Dolore.
Ho sonno.
Non riesco ad alzarmi dall'asfalto,ho paura. Dove sei padrone? Dove sei Amore?
Sento le macchine sfrecciare una, o un milione.
Qualcuno quando mi sto addormentando, si ferma.
Mani umane mi sfiorano mi sollevano, qualcuno mi carica in macchina ma non sei tu, Padrone.
Il calore di un corpo vicino, mi fa tendere verso una mano piccola e rosa poggiata vicino al mio muso. Verso un'ultima carezza
Mentre i miei occhi si chiudono,per l'ultima volta, qualcuno, ormai dall'altra parte del ponte rassicura la bambina seduta a fianco al mio corpo:
-“Non piangere, tesoro, è solo un cane abbandonato”.





Pensate a quello che fate quando prendete un animale.
Chi abbandona è un criminale, chi abbandona non merita niente di più di ciò che ha dato. 
Solitudine.

lunedì 17 giugno 2013

Quando la bellezza salverà il mondo


Che cos'hanno in comune un gigantesco centrino bianco, una bambina che vola attaccata a dei palloncini su un muro grigio, e una poesia in  francese che racconta il dolore di un esule?
Niente, e tutto.
Niente perchè sono gocce di bellezza in un mare di ignoranza sparse per il mondo, che magari non formeranno mai la stessa onda.
Tutto perchè in queste scie di speranza lasciate da una penna intinta nella disperazione c'è tutto il bello che ancora resta nel mondo.
Il centrino bianco, è  quello intessuto dalle madri turche in questi giorni di proteste e violenze, mentre i loro mariti e figli venivano massacrati dalla polizia a colpi di manganello e granate lacrimogene, che oggi, in risposta all'invito di Erdogan di andarsi a riprendere i figli in piazza, hanno steso lungo la facciata del museo di Ataturk, altro simbolo di quella storia della Turchi forte e libera che un meschino dittatore vorrebbe cancellare.
Non è sicuramente una tela da milioni di euro, una statua greca, un'imponente installazione di arte contemporanea della Biennale eppure ai miei occhi stanchi di vedere dolore e crudeltà è bellissimo.
Bellissimo, e struggente, come uno di quei fiori di campo che ogni tanto germogliano dall'asfalto,contro ogni previsione, sfidando ogni difficoltà  e
sono lì a sbatterci in faccia che il mondo è un capolavoro.
Bellissimo come le parole delle poesie di Maram al-Asri, giovane poetessa di origini siriane che da Parigi racconta in versi la guerra civile contro il regime di Assad vista attraverso la lente della rete e dei media, con gli occhi di chi non può e non vuole tornare in un paese dove sarebbe controllata e bistrattata, ma che chiama comunque casa.
"Noi esiliati, siamo malati di una malattia incurabile, amare una patria messa a morte"
E' così bello che fa male. 
Fa male perchè fra tutto questo schifo che ci scivola davanti ogni giorno fra i titoli dei telegiornali ho paura di dimenticare le cose  per cui vale la pena svegliarsi al mattino, stringere i denti e vivere.
Mi alzo e stringo i denti perchè spero in un domani pieno di bellezza per tutti gli oppressi, e gli afflitti, per tutte quelle anime in fuga dalla guerra e dalla disperazione che sia arenano in una tonnara di ostilità e razzismo.
Stringo i denti per il popolo della Palestina, e quello di Israele, perchè da quel disegno lasciato da un writer senza volto,dall'ombra di quella bambina che un grappolo di palloncini sta portando oltre il muro che divide le loro terre, capiscano che c'è molto più di un pezzo di terra da perdere.
Sono questi barlumi di bellezza che mi fanno sperare ancora nella una rivoluzione pacifica di un esercito poeti,artisti, cantastorie,musicanti,sognatori che dal fondo più fondo della deriva della razza umana sanno far germogliare l'ispirazione per regalare un po' di colore a questo mondo sempre più grigio, anche se non se lo merita.
Mi piace pensarlo ogni volta che ascolto una canzone di De Andrè,e ricordarmelo ogni volta che uno di questi pazzi estimatori della vita si guadagna un pezzetto della mia stima con idee così.
Se non sarà la bellezza a salvare la nostra stanca società, allora nient'altro potrà, perchè se dimentichiamo quanto di buono c'è su questa Terra, niente ci impedirà di distruggerla, e tutti noi con lei.

martedì 11 giugno 2013

Piazza Taksim, l'esistenza dentro la resistenza.

Da ieri sera sono ricominciate le cariche e i lanci di lacrimogeni sui manifestanti pacifici in Piazza Taksim, ad Istanbul in Turchia.
La polizia sta rivelando ancora una volta il proprio volto più brutale, spinta dal pugno di ferro del primo ministro Erdogan,intenzionato a non cedere alle richieste dei manifestanti, che lottano da quasi due settimane per la propria libertà di riunione,espressione e pensiero.
Gli alberi simbolo di Gezy Park, il cui piano di abbattimento ha incendiato la miccia della più grande sollevazione popolare nella storia della Turchia, sono ancora a rischio, e per poterli abbattere il primo ministro ha ordinato un impiego massiccio della forza verso i manifestanti accampati, ma ha sfoderato anche un altro asso dalla manica.
Imparando forse dalla drammatica montatura orchestrata nel corso del G8 di Genova del 2001 dai vertici della polizia e dal govern(in)o italiano, per trasformare il dormitorio di manifestanti nella scuola Diaz in un mattatoio degno delle dittature sudamericane, qualcuno ha fatto spuntare in piazza Taksim Molotov e "Black Block" in versione turca.
Nella mattinata di oggi una ventina di persone hanno cominciato a lanciare bottiglie incendiarie sulla polizia,che stranamente non ha reagito,ma la stragrande maggioranza dei manifestanti non ha riconosciuto la frangia violenta.
Per blogger e cronisti sul posto si tratta di poliziotti in borghese infiltrati per far salire la tensione e giustificare una mattanza.
Qualcuno ha intravisto fondine d'ordinanza e distintivi.
Allora è successa una cosa incredibile: i ragazzi di piazza Taksim, e quanto li stimo in questo momento per aver dimostrato una tale pacifica perseveranza, hanno formato una catena umana fra il gruppo armato e gli agenti, per proteggere questi ultimi.
Un paradosso?
Forse, ma in questo paradosso vedo una generazione che ha imparato dal passato a non farsi fregare dai trucchetti di regime, e che non ha intenzione di cadere nelle trappole tese da uno Stato indegno di questo nome.
In queste ore stanno continuando gli arresti e le violenze ad Istanbul ed Ankara, ma il giochino architettato per far ricadere la colpa sui manifestanti non ha funzionato.
La polizia ha iniziato ad arrestare anche fotografi e giornalisti, ma nonostante ciò, grazie alla tecnologia dilagante, foto e video che documentano le violenze continuano ad arrivare  a noi.
Poliziotti che sparano in testa a ragazzi:     http://www.youtube.com/watch?v=wt1Vs_ciFyE

Catene umane in mezzo ai lacrimogeni,









Giornalisti allontanati per nascondere la bruttezza del regime, ormai sotto gli occhi di tutti.


E ancora una volta, noi siamo qui a guardare. 5000 feriti, almeno 5 morti ed altri 12 ragazzi in condizioni gravissime,decine di persone che hanno perso la vista.Violazioni costanti dei diritti fondamentali di associazione, espressione e stampa.
Cosa deve succedere ancora perchè la comunità internazionale intervenga al fianco di questi uomini e queste donne pieni di coraggio e determinazione?


Seguite l'evolversi della situazione su https://www.facebook.com/OccupyGezi?hc_location=stream , se la primavera turca finirà nel dimenticatoio, non ci sarà più niente che potrà fermare i bulldozer di Erdogan.


lunedì 10 giugno 2013

Un Bistecca ci seppellirà

Sul fatto che sbafarsi un piatto di pasta al ragù,una costata alla griglia o un panino con il prosciutto possa piacere non c'è dubbio. Ma mettendo da una parte abitudini,vizi e luoghi comuni, sarà difficile negare che togliersi il prosciutto dal piatto oltre che dagli occhi sia une delle scelte più etiche ed intelligenti che si possano fare.

Se delle condizioni di vita terrificanti degli animali da carne, dei lamenti di vitelli e polli sgozzati, del quoziente intellettivo dei maiali identico a quello del cane che vi dorme sul divano vi interessa ben poco, prima di addentare il prossimo hamburger da Mc Donald's vi sfido almeno a smontare qualche dato di fatto.

Secondo le proiezioni pubblicate lo scorso anno dalla Fao, l’attuale modello culturale e la diffusione dello stile di vita occidentale porterà la produzione di carne da 228 milioni di tonnellate a 463 milioni entro il 2050. L'Onu (che per la prima volta ha affrontato la questione in rapporto pubblicato nel giugno 2012)afferma che senza un’inversione di tendenza, l'incremento dell'industria della carne porterà  ad un vero e proprio disastro ambientale i cui effetti sono calcolabili già adesso, visto che l’insostenibilità emerge da tutti i dati messi in evidenza dell’ organizzazione intergovernativa (notoriamente menefreghista in quanto a diritti animali) senza che però da questa consapevolezza siano scaturite mai concrete iniziative politiche. Le fabbriche di carne, perchè di questo ormai si tratta, provocano più danni all'ambiente che la produzione di materiale edile, e le coltivazioni di mangimi sono dannose quanto il consumo di combustibili fossili.  
Ma la zootecnica non pecca solo in quanto ad inquinamento, ma anche in materia di spreco di risorse.In termini strettamente energEtici, servono 25 Kcal di cerali per produrne una di carne,parlando solo di quella bovina ( si arriva ad un rapporto di 57:1 per quella ovina, 39:1 per le uova, 14:1 per il latte).
Il bestiame dei ricchi mangia il cibo dei poveri,e porta loro via anche l'acqua:oltre l’ 8% dell'acqua potabile mondiale serve ad abbeverare direttamente gli animali reclusi negli allevamenti, senza calcolare la quantità necessaria per coltivare i foraggi che li nutrono. A conti fatti, per ottenere un chilo di manzo da allevamento intensivo si sprecano duecentomila litri d’acqua a fronte dei duemila che bastano, ad esempio, per la stessa quantità di soia dal valore nutritivo comparabile.  
Gli animali da reddito producono più gas serra rispetto al settore dei trasporti e addirittura il 64% dell’ammoniaca totale, mettendo a rischio ecosistemi interi, oltre il  10% delle specie protette, occupando un quarto delle terre coltivabili.
Per capirci, intervenire modificando la dieta da onnivora a vegetariana o vegana avrebbe un impatto ambientale più efficiente ed immediato della sostituzione di combustibili fossili con fonti rinnovabili.
Ma se dell'ambiente ve ne dovesse fregare ben poco (in fondo di cazzoni insensibili è pieno il mondo), magari della salute vi importa un po' di più:Uno studio  su un campione di 70.000 perone pubblicato sul Journal of the American Medical Association ha dimostrato che eliminare i derivati animali dalla dieta fa ammalare meno e vivere di più.
I vegetariani vedono il rischio di morte derivante da patologie cardiocircolatorie e cancerose calare del 12%,i vegani addirittura del 15%.Il rischio di infarto degli "erbivori" cala di un terzo. Cinquanta grammi al giorno di carne industriale aumentano del 42% il rischio di patologie cardiovascolari, del 19% quello di diabete e gotta, del 18% quella di cancro all'intestino.
E basta con la tiritera del "siamo nati erbivori", "abbiamo i canini", "nella preistoria mangiavamo di tutto",perchè i nostri denti assomigliano più a quelli di una mucca,che a quelli di un cane, nel nostro lungo intestino la carne imputridisce prima di essere espulsa, e nella preistoria eravamo anche stupratori, incestuosi e pedofili, vogliamo forse continuare ad esserlo perchè "è naturale"?Come tutti i vegetariani penso di essere stata danneggiata di più dai vari "senza carne puoi morire" che dalle carenze nutrizionali:non importa niente a nessuno di quante proteine mangi, finchè non scoprono che sei veg.
Se neanche della vostra salute vi importa gran che, e state mandando a quel paese tutti questi rompi scatole vegetariani mentre salite in macchina direzione Mc Drive pensando che tanto di qualcosa si deve morire, permettetemi di ricordarvi che è anche il mio mondo che sta soffocando con l'inquinamento, e che è anche con le mie tasse che potete avere,a gratis, le medicine per il diabete, il colesterolo, la gotta,il cuore affaticato che un'altra dieta vi avrebbero evitato.
Stò dando i numeri? certo che sì: sono 157 milioni Le tonnellate di cereali, legumi e ortaggi impiegate negli USA ogni anno per produrre 28 milioni di tonnellate di proteine animali,360% L'incremento del consumo di carne del Giappone negli ultimi 30 anni,80% I bambini che soffrono la fame vive in Paesi che impiegano parte dei loro cereali per produrre carne destinata ai Paesi ricchi,2/3 Il grano esportato dagli USA che viene usato per l'alimentazione animale,121 kg la carne pro capite consumata negli USA in un anno,800 milioni Le persone che potrebbero essere sfamate con il grano usato ogni anno negli allevamenti degli Stati Unit.,5 volte L'incremento di carne in Italia dall'inizio del XX secolo a oggi,2700 le diverse sostanze chimiche fra ormoni,antibiotici,tranquillanti, somministrate agli animali allevati in maniera intensiva.
Tenetevi pure le vostre fette di prosciutto,se proprio non riuscite a farne a meno,io preferisco tenermi il mio rispetto per gli animali,la mia etica, la mia salute, e la consapevolezza che mai nella storia, il futuro del mondo come lo conosciamo è dipeso come oggi dalla scelta che compiamo ogni giorno sedendoci a tavola.
Anche di questo non vi importa? Beh, come dice il caro Foer, "se niente importa, allora non c'è nulla da salvare".



giovedì 6 giugno 2013

Una Piccola Ape Furibonda

Era una piccola Ape infuriata quella che si è riparata sul davanzale esterno della mia camera nei giorni più rigidi di questa primavera anomala.
Una piccola Ape arrabbiata e affamata, che stava per morire,come milioni di altre in tutto il mondo in questi mesi.
la mia piccola Ape si è scaldata per qualche ora, dello zucchero offerto dalla mia superanimalista mamma è bastato a darle l'energia necessaria per fare ritorno al suo alveare e per tornare qualche giorno dopo a depositare del polline negli interstizi delle imposte.
Questo scambio interspecie, mi ha commossa, quel piccolo essere attaccato alla vita mi ha stupito, vederla soffrire mi ha fatta arrabbiare.
Guardatevi in giro: fra le piogge e i pochi fiori di questa stagione le api, i bombi e tutti gli altri insetti impollinatori sono stati decimati.
Un'ecatombe silenziosa ma devastante, per loro e per l'intero ecosistema.
Ma non è colpa solo del freddo, della primavera latitante, della neve a maggio. Se dalla fine dagli anni '90 le api hanno iniziato a morire a milioni, imboccando una via che le porterà all'estinzione è colpa dei pesticidi dannosi per gli insetti impollinatori (clothianidin,imidacloprid,thiametoxam, fipronil,clorpirifos,cipermetrina e deltametrina ) e dell'impiego scellerato che se ne fa nell'agricoltura industriale.
Questi "Killer", prodotti dai soliti colossi farmaco-chimici fagocitatori di ambiente e diritti ( la Bayern, per dirne uno)non solo uccidono direttamente gli insetti, ma interferiscono con le loro caratteristiche chimico-fisiche, impedendo agli impollinatori di orientarsi o di nutrirsi.
negli USA e in Inghilterra la situazione è ancora più tragica: gli agricoltori del "granaio  d'America" spazzano palate di api dai pavimenti dei capannoni ad ogni distribuzione di pesticidi sul raccolto, in Gran Bretagna è partita una campagna di raccolta fondi e firme per contrastare lo sterminio, anche distribuendo le sementi dei fiori che favoriscono l'alimentazione delle api.
In Italia fortunatamente 3 delle sostanze chimiche incriminate sono fuori legge già dal 2008, ma anche qui la situazione è allarmante.
Il recente rapporto di Greenpeace "Api in declino" stima che nel giro di qualche anno più di 20.000 piante da fiore scompariranno, minando le possibilità di sopravvivenza delle api selvatiche che hanno bisogno di un habitat incontaminato per vivere.
"Delle 100 colture da cui dipende il 90% della produzione mondiale di cibo, 71 sono legate al lavoro di impollinazione delle api- spiegano dall'associazione ambientalista- Solo in Europa, ben 4000 diverse colture crescono grazie alle api. Se gli insetti impollinatori continueranno a diminuire come sta succedendo da anni, molti alimenti potrebbero non arrivare più sulle nostre tavole."
E non è un problema solo di gusto: che l'abbia detta o no Einstein la famosa citazione "Se le api scomparissero al genere umano resterebbero solo 4 anni di vita" non è molto lontana dalla realtà.
Senza il lavoro di questi operosi esserini impollinatori moriremo letteralmente di fame.
Non è solo questione di godersi il ronzare delle api in un prato, è questione di tutela della biodiversità, di rispetto per questi animali intelligenti e sensibili che nulla hanno da invidiare alle altre specie, di sopravvivenza del mondo come lo conosciamo e di tutti gli animali, noi compresi.
Con un impegno massiccio, è ancora possibile invertire la tendenza.
Promuovendo l'agricoltura sostenibile, attraverso investimenti e ricerche sulle colture biologiche ed ecologiche,vietando i pesticidi dannosi,sostenendo l'impollinazione naturale in agricoltura,tutelando gli habitat e la biodiversità, le api avrebbero ancora una speranza.
Piantare fiori di campo e siepi è una cosa che possono fare tutti quelli che hanno un balcone un giardino o anche solo una finestra.
L'altra cosa che possiamo fare tutti è firmare qui l'appello di Greenpeace http://salviamoleapi.org/
e sensibilizzare istituzioni e conoscenti con il materiale scaricabile dal sito.
Qui, con una donazione di 10 sterline riceverete una bustina di semi dei fiori preferiti dagli operosi insetti a strisce:http://www.nealsyardremedies.com/bee-lovely .
Il fatto che le protagoniste di questa campagna siano piccole, non significa che piccola sia la questione:è il rispetto e la tutela dei più minuscoli fra gli esseri viventi,a far grande ogni uomo.


martedì 4 giugno 2013

Turchia:quando è incazzata, anche una sola rondine fa "Primavera"

Cinque giorni fa le immagini della protesta a Gezi Park raccontavano di poche centinaia di hippie accampati per difendere un parco, ora, dopo notti e giornate di scontri,lacrimogeni, morti,feriti e arresti,i media liberi iniziano a parlare di Primavera Turca.
Mentre testate e tv italiane preferiscono glissare sfoderando ancora la notiziona di un Berlusconi inquisito e dei dieci saggi del governo dei "forse,ma sì, però",l'onda di solidarietà del web sta finalmente contagiando anche televisioni e giornali stranieri.
Una bandiera primavera turca
Giornalisti ed opinionisti iniziano ad esprimere simpatia verso questi "ribelli" che mettono a rischio la propria vita per qualcosa di molto più grande di un parco alberato:il diritto di vivere ed essere rispettati come cittadini del proprio paese.
"There are left political groups, nationalists, radical, anarchists, everyone has place. Housewives with their sons; it is a very heterogeneous opposition." Ci sono gruppi politici di sinistra- twittano da piazza Taksim alcuni portavoce della protesta- nazionalisti, radicali, anarchici, a ognuno un posto. Ci sono casalinghe con i figli: è un'opposizione molto eterogenea"
E molto pacifica, considerata la brutalità criminale della polizia è incredibile che le manifestazioni siano ancora  prettamente a carattere non violento.
Ne è un simbolo la ragazza con il vestito rosso che resta ferma senza reagire davanti al getto dell'idrante che la sta colpendo in pieno, destinata a diventare un'icona di questa rivolta, come il ragazzo con le borse della spesa che fronteggiava i carri armati a piazza Tienanmen.
A chi, da qualche salotto televisivo italiano, fa superficiale ironia sentenziando che è ben diverso lottare per la democrazia piuttosto che per un parco, e che di primavera turca non si può parlare, a quegli show di pochezza professionale e personale, consiglio di aprire gli occhi e vedere che gli alberi  di Gezi Park non sono un pretesto, ma un simbolo.
Di uno stato smembrato e cementificato.
Di una storia calpestata.
Di una generazione che dell'ennesimo centro commerciale non sa che farsene.
Di una democrazia non condivisa e imposta,che ha smesso di essere democrazia.
Dell'attacco al cuore libero e creativo di Istanbul.
Del sentire che siamo anche le nostre città.
Della difesa di un'idea di progresso che ormai non ha più niente a che fare con quella di capitalismo.
Del coraggio di lottare per la propria terra, senza chiedere niente in cambio se non i diritti elementari.
E non mi stupisce che nella nostra Italietta si tenda a minimizzare questa protesta, camuffando il numero dei feriti (che è salito a diverse migliaia tanto che alcuni hotel hanno messo a disposizione le proprie stanze come ambulatori), negando i morti (il cui conto forse non sarà mai fatto con certezza, ma importa davvero?) sfottendo i motivi.
Non vi ricorda niente la protesta di un popolo per la propria terra e per il proprio paesaggio?E se al posto di quel parco ci fosse una vallata? Un treno ad Alta velocità al posto di un grande magazzino?
Io vedo nello sforzo dei ragazzi di Istanbul la stessa scintilla di opposizione all'urbanizzazione scellerata che ha mosso le famiglie  della Val Susa,la stessa punta di un iceberg di insoddisfazione verso quelle istituzioni che tentano di mettere la parola fine alle discussioni con un "così è deciso".
Non mi stupisco che qualcuno, nei palazzi, nelle redazioni asservite, abbia paura.
Che vigliaccamente le tv italiane seguano l'esempio di quella turca parlando di gatti,pinguini, e piogge fuori stagione invece che raccontare la brutalità della repressione, con carri armati,gas nocivi e poliziotti con la matricola abrasa dall'elmo, con metodi tanto crudeli che in molti fra le forze dell'ordine, stanno lasciando il proprio posto di lavoro.
Oggi l'intera Turchia è in sciopero,un sindaco ha chiuso l'acqua degli idranti, per impedire che fosse usata nei cannoni ad acqua contro i manifestanti. A lui, ai medici, agli avvocati, ai volontari che prestano soccorso,ad ogni singolo ragazzo ucciso, picchiato, intossicato, dovrebbe andare l'attenzione dei nostri giornalisti, non alla prova costume delle veline
"Il governo sta svendendo l’intero paese alle corporazioni per la costruzione di centri commerciali, condomini di lusso, autostrade, dighe e centrali nucleari.-denunciano i blogger turchi-Le persone che stanno marciando nel centro di Istanbul rivendicano il loro diritto a vivere liberamente e ad avere giustizia, protezione e rispetto da parte dello Stato. Chiedono di essere coinvolte nel processo di decision-making che riguarda le città in cui vivono."
E per forza dunque che qui da noi si tace.E' troppo alto il rischio che qualcuno noti le similitudini.
Troppo forte la paura che una rondine, magari solitaria, si metta in testa di portare la primavera anche qui.


Firmiamo l'appello di Amnesty International per lo stop all'uso della forza contro i manifestanti, che con un granello di sabbia alla volta magari si cambia il peso sulla bilancia:
http://www.amnesty.it/turchia_violenze_polizia_manifestanti


lunedì 3 giugno 2013

Turchia:se informarsi sulla rivoluzione di Gezi Park è un dovere.

Tre notti e quattro giorni di scontri,migliaia di feriti, un numero di morti impossibile da accertare.Il silenzio dell'informazione.

Quella che è iniziata quattro giorni fa ad Istanbul come una protesta per salvare un parco dalla cementificazione selvaggia si sta trasformando in una vera e propria guerriglia urbana.
La rivolta dei giovani  turchi per fermare i programmi iperfuturisti ma soprattutto le mire dittatoriali del premier Erdogan fa paura al governo,ma indispettisce anche l'Europa sull'orlo di una crisi di nervi.
Il risultato è che giornali e telegiornali relegano la cronaca degli scontri di piazza a trafiletti e servizi di chiusura, mentre la protesta si estende a macchia d'olio infiammando anche la capitale Ankara e Izmir.
Twitter, Facebook, Tumblr e i blog indipendenti sono diventati gli unici strumenti dei manifestanti per raccontare ciò che succede. "Noi turchi dobbiamo imparare a protestare, non siamo abituati- commentano alcuni attivisti intervistati - e ad avere paura della violenza della polizia, non si fermano finchè non ti fanno del male".
La situazione è di una gravità che sfugge ai più, per la complicità di media e istituzioni che temono l'effetto domino, già per altro partito in alcuni focolai di sostegno a Berlino e Londra.
 La notte è illuminata dai roghi delle auto date alle fiamme, i feriti, 58 per le fonti ufficiali, sono migliaia, i morti almeno 5 secondo i manifestanti, 2 secondo Amnesty International, che chiede a gran voce un intervento esterno per controllare la brutalità della polizia.
Idranti e granate lacrimogene sono usati come vere e proprie armi, sparati ad altezza uomo.
I proiettili veri hanno sostituito quelli in gomma e da ieri la polizia ha iniziato a sparare dalle finestre delle case.
Non ve lo diranno i telegiornali, ve lo dirà solo la rete: migliaia le foto e i video postati che testimoniano la violenza cieca del braccio armato di Erdogan.
I feriti, alcuni gravissimi, riempiono gli ospedali, ma anche gli alberghi che hanno aperto le porte ai manifestanti. Molti ragazzi hanno perso la vista, "la nostra pelle brucia" gridano nei video apparsi su twitter. La protesta a Izmir, città più lontana dai riflettori, ha subito la più brutale repressione: ragazzi e ragazze sono stati picchiati in maniera violentissima, centinaia sono stati arrestati e tutt'ora trattenuti, alcuni manifestanti sono stati colpiti alla testa da proiettili volanti. Poliziotti in borghese sono infiltrati nelle manifestazione, approfittando del caos per colpire ancora più duramente la folla che chiede solo il rispetto della propria storia, dei propri diritti, della propria società.
Adesso il pugno di ferro di quello che si sta rivelando un dittatore sta colpendo i social network: in questi minuti è stato sospeso l'account Twitter di #occupygezi, non è più possibile accedere alle foto e ai video che mostrano ragazze colpite con idranti e manganelli, teste spaccate e ragazzi svenuti per le intossicazioni da gas lacrimogeni, lanciati addirittura dagli elicotteri.
Dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere perchè ciò che succede in queste ore in Turchia, nella Porta d'Europa, non venga oscurato.
Seguite gli hashtag #occupygezi,https://twitter.com/OccupyGezi
 #direngezipark,https://twitter.com/DirenGeziParki ,su Twitter, andate in prima persona a vedere qui le foto delle violenze negli scorsi giorni:https://twitter.com/DirenGeziParki/media/grid ,
io ne ho riportate solo alcune.
Su Facebook la pagina Occupy Gezi sta facendo il possibile per mantenere alta l'attenzione, non lasciamoli soli.
La gente turca è dalla parte dei manifestanti, negozianti,albergatori, donne e uomini comuni.Il rettore dell'università di Istanbul ha posticipato la sessione d'esami per dare la possibilità degli studenti di manifestare il proprio dissenso al sistema di Erdogan,che in dieci anni con il 35% di preferenze ha stravolto la fisionomia di uno stato in favore delle proprie mire megalomani, posizionando fondamentalisti islamici in tutti i ruoli di spicco nella pubblica amministrazione e nell'esercito.
Questa è una rivoluzione buona, lo so, lo sento, lo vedo dalle poche immagini "belle" che sono apparse in questi giorni in cui sono stata attaccata a twitter per seguire le notizie.
Due su tutte: un uomo che lava gli occhi al proprio cane,accecato dai gas,in mezzo alla folla in fuga  e i fiori piantati nei bossoli delle granate lacrimogene raccolte dalle strade.Anonymous e Indignados hanno già dato il proprio sostegno attivo alla rivolta.Il minimo che possiamo fare noi è  tenere alta l'attenzione su questa rivolta, che potrebbe trasformarsi in una svolta, per l'Europa intera.